
Svolgere il ruolo di volontario è di per sé un’iniziativa nobile, considerato il contributo disinteressato offerto nei confronti della società di cui si fa parte e particolarmente verso chi vive in condizione di disagio. Oggi ci dedicheremo ad un particolare tipo di volontariato: quello rappresentato degli hospitaleros. Parlando di essi, ci si riferisce ad una figura che opera al servizio dei pellegrini in cammino e ha, come valore aggiunto, la possibilità di contribuire a salvaguardare lo spirito profondo di pellegrinaggi come il Cammino di Santiago o la Via Francigena.
Racconteremo le storie di alcune persone che hanno svolto del volontariato in Spagna, diventando hospitaleros negli ostelli del Cammino di Santiago. Questa figura prevede, oltre alla gestione completa di un ostello per una o due settimane, il compito di assicurare la giusta atmosfera intrisa di umanità e solidarietà ai tanti pellegrini in viaggio, accogliendo e sostenendo chi giunge presso la struttura.
Il ricordo dell’esperienza vissuta dagli ospiti sarà fortemente influenzato dal rapporto interpersonale che l’hospitaleros avrà saputo tessere con loro, anche perché spesso sono proprio i pellegrini che hanno ricevuto un trattamento fraterno a diventare a loro volta volontari.
Se vuoi approfondire cosa significa essere un volontario negli albergue del Cammino di Santiago, leggi il nostro articolo sugli hospitaleros, mentre se vuoi leggere altre storie o curiosità puoi dare un’occhiata alle opinioni sul Cammino di Santiago!
* immagine di copertina: Foto di Luis Echanove, CC BY-ND 2.0.
Il volontariato in Spagna negli ostelli: i racconti
Chi ha percorso il Cammino di Santiago o ha già avuto una esperienza da hospitalero, avrà avuto modo di constatare che i volontari non rientrano in nessuna “categoria” ben precisa: non esiste nessun requisito di età, sesso, provenienza, credo, professione o altro. Chiunque è animato da spirito pellegrino e da altruismo può diventare volontario negli ostelli del Cammino di Santiago.
Sarà necessario frequentare un piccolo corso e aver compiuto uno o più pellegrinaggi. Si rivelerà un’esperienza indimenticabile, a volte una sfida, ma ogni difficoltà verrà ampiamente ripagata dalle emozioni vissute e dai ricordi preziosi che ogni periodo di volontariato lascerà dietro di sé.
Oggi spulceremo proprio tra queste memorie, spesso trascritte sul diario personale, che alcuni hospitaleros hanno deciso di condividere con noi. Per nostra scelta editoriale, non citeremo i riferimenti e il nominativo dell’ostello in cui è stato svolto il periodo da hospitalero, perché crediamo sia più importante concentrarsi sull’esperienza umana e i valori che essa trasmette.
La storia di Christine
Mi è successo più volte di parlare con dei pellegrini appena rientrati dal pellegrinaggio a Santiago, e ogni volta ho potuto vedere quanto l’esperienza vissuta durante il cammino sia stata così intensa e coinvolgente da far sentire l’esigenza di tornare a farla prima possibile. Non avevo ancora provato in prima persona quei momenti, per cui all’inizio l’avevo ritenuta un‘esaltazione dovuta all’eccessivo entusiasmo per un viaggio fuori dal comune.
Non avrei mai immaginato di sentirmi così profondamente colpita… al punto non solo di sentire forte il richiamo di quei luoghi, ma soprattutto di voler ricambiare, almeno in parte, ciò che avevo ricevuto! Dopo il primo Cammino di Santiago ne sarebbero seguiti tanti altri.
La mia esperienza da hospitalera è arrivata per caso. Dal primo giorno del mio cammino ho avuto la netta sensazione di trovarmi nel posto giusto: l’accoglienza e il clima di cordialità che si respirava era tale da suscitare immediatamente sentimenti positivi.
Fu così che, dopo una piacevole serata trascorsa in compagnia degli hospitaleros e degli altri pellegrini in uno dei tanti ostelli, ero pronta per riprendere il mio quinto cammino, ma fu proprio allora che seppi che uno dei due responsabili all’accoglienza aveva avuto un problema familiare per cui non avrebbe potuto continuare il proprio turno nella gestione dell’ostello.
Senza pensarci su neanche un attimo, mi offrii di sostituirlo! Decisi con la massima determinazione che quell’ennesima esperienza da pellegrina doveva assolutamente dare i suoi frutti e trasformarsi in qualcosa di bello da donare agli altri.
Ho così trascorso poco meno di una settimana da “volontaria provetta” e devo riconoscere che il lavoro da svolgere durante la mattinata era abbastanza impegnativo: pulire la cucina dopo la colazione, le stanze, preparare il pranzo e badare anche allo spazio esterno, fare la spesa. Tutto questo è stato facilitato dal mio compagno hospitalero, visto che siamo riusciti a coordinare il servizio nel modo migliore, affrontando le difficoltà giorno per giorno.
In questa esperienza di volontariato in Spagna, il mio momento preferito della giornata è sempre stato quello dell’accoglienza dei nuovi arrivati, che ogni volta si trasformava in un momento di festa, un benvenuto pieno di calore e cordialità.
La sera, dopo cena, arrivava un altro dei momenti che tutti aspettavamo: quello in cui ci si riuniva a parlare e cantare, magari improvvisando delle note con una vecchia chitarra strimpellata da un pellegrino.
A suggellare il tutto non poteva mancare un bicchiere del buon vino della zona. In quei giorni sono stata così bene, mi sono sentita così appagata, da decidere di diventare una hospitalera “ufficiale” e ripetere l’esperienza ogni volta in cui i miei impegni me lo avrebbero consentito.
Davide e l’esperienza di volontariato in Spagna

Il mio primo turno da hospitalero l’ho svolto in un piccolo ostello della Castilla y León, in un graziosissimo pueblo (paesino) di poco più di 500 abitanti. Avevo da tempo questa idea, e finalmente mi sono deciso a chiedere le prime informazioni direttamente a Santiago di Compostela, il giorno in cui ho finito la mia seconda avventura, il Cammino del Nord.
Nonostante nell’albergue i posti disponibili non fossero tanti, c’era molto lavoro da fare: dall’accoglienza alla preparazione dei pasti, dalla pulizia delle stanze alla spesa al supermercato, oltre a piccole riparazioni e migliorie che ho potuto fare grazie all’esperienza nel fai da te.
Alcuni giorni mi ritrovavo da solo a gestire il tutto (al mio compagno hospitalero piaceva esplorare la zona circostante!), ma non mi sono avvilito, anzi! La carica di energia e l’entusiasmo che provavo per questa avventura mi faceva apparire tutto leggero e piacevole. D’altra parte, ero partito col preciso intento di offrire tutto l’aiuto di cui ero capace.
Succedeva che, a volte, arrivavano più pellegrini del previsto ma io e Daniel siamo sempre riusciti a trovare una sistemazione per tutti loro. In questo lui era inarrivabile, riusciva sempre abilmente a compensare le sue assenze con una capacità incredibile di risolvere tutti i problemi, anche i più insormontabili.
Quel periodo d’autunno fu particolarmente rigido, ma questo, invece di creare disagio a hospitaleros e pellegrini, riusciva a dare vita a momenti di aggregazione e intimità, come quando ci si riuniva intorno al fuoco e ognuno raccontava di sé bevendo una tazza di tè caldo. Anche la preparazione della cena, organizzata da volontari “intraprendenti”, dava alla serata un’atmosfera accogliente e calorosa.
Quei momenti erano magici e riuscivano a dare un senso di serenità a tutti. Quando, di primo mattino, i pellegrini salutavano andando via, sentivo un profondo senso di soddisfazione e appagamento, certo di aver fatto tutto il possibile per farli sentire a loro agio. Naturalmente c’era anche un pizzico di tristezza per il distacco, soprattutto nei confronti di chi mi aveva particolarmente colpito, ma penso che in fin dei conti sia normale.
Il tempo è volato via senza che me ne accorgessi e ho vissuto le due settimane in piena armonia e pace con me stesso e con gli altri. Posso senz’altro dire che fare del volontariato in Spagna come hospitalero è un’impagabile occasione per dare il meglio di sé; mi sento quindi di consigliare a tutti di provare a farlo almeno una volta!
L’avventura da hospitalera di Carmen
Oggi voglio raccontarvi la mia avventura da hospitalera in uno stupendo ostello della Galizia. Ero alla mia seconda esperienza, quindi avevo già un’idea di quello che avrei dovuto fare e di come gestire un ostello. Per me, fare del volontariato in Spagna è sempre un’emozione speciale, perché tornare nel mio paese di origine dopo tanti anni vissuti all’estero è come riappropriarmi di una parte di me stessa.
Ero conscia che, nonostante avessi già esperienza, essere hospitalera sarebbe stato diverso ogni volta; quindi, non si può essere mai davvero preparati. Mentre alla prima occasione avevo utilizzato le mie ferie per partire, stavolta, trascorsi due anni, avevo la spensieratezza della pensionata che non deve correre per rientrare al lavoro.
Il mio viaggio per arrivare a destinazione è stato piuttosto lungo e costoso, ma devo ammettere che le due settimane trascorse in ostello mi hanno ripagato appieno, lasciandomi un senso di profonda soddisfazione sul piano umano e spirituale. Juan, l’altro hospitalero con cui ho condiviso l’esperienza, era un medico argentino anche lui in pensione, veterano del Cammino di Santiago e profondo conoscitore di soluzioni e rimedi per i tipici malanni dei pellegrini (soprattutto vesciche e distorsioni).
Mi sono affidato a lui, e tutto è filato liscio perché siamo riusciti a dividere le mansioni da assegnare a ognuno in modo equilibrato ed efficiente. Nonostante la perfetta regia, gli imprevisti non sono mancati: una parte della tettoia del cortile è crollata per il maltempo, l’impianto idraulico ha fatto le bizze più volte, un pellegrino un po’ “agitato” ha creato scompiglio nel dormitorio e far ritornare la calma è stata un’impresa non facile.
Juan sapeva conquistare tutti preparando ottimi biscotti alle mandorle, i pellegrini li avevano così apprezzati che si è visto costretto a sfornarne di nuovi ogni due giorni! Io compensavo con le mie proverbiali insalate, piene di ogni ben di Dio. Certo, non posso dire che sia stato facile gestire il carico di responsabilità, ma i momenti belli ripagavano al punto che ancora oggi, dopo svariati anni, sento forte la nostalgia di quel periodo.
Dario e la pellegrina affranta

Ho deciso di svolgere due settimane di volontariato in Spagna sul Cammino di Santiago dopo che il mio amico Antonio, fresco dell’esperienza da hospitalero, mi aveva letteralmente trascinato con sé in quest’avventura, raccontandomene “in diretta” ogni aspetto, come una sorta di telecronaca!
Ormai sono anni che svolgo questo servizio e aiuto i pellegrini, ma la prima volta da hospitalero è certamente quella che ricordo in modo più vivido e con maggiore affetto. Nel 2016, ho preso servizio presso un ostello piuttosto grande con un altro compagno proveniente dall’Olanda e, nonostante la sfida che mi si poneva davanti, ero contento che non mi avessero mandato in un ostello piccolo, perché avevo sentito dire che in alcuni di essi era previsto un solo hospitalero…
In quel caso, posso dire di essere capitato davvero bene: la determinazione di Jeroen e il suo entusiasmo, miscelati con una abbondante dose di inspiegabile calma, mi hanno contagiato al punto di superare rapidamente ogni timore. Avrei mille aneddoti da raccontarvi, ma vorrei soffermarmi su un episodio che ha influenzato sensibilmente il mio modo di relazionarmi con i pellegrini.
Un giorno arrivò al nostro ostello una ragazza di circa 25 anni, era sola e aveva un aspetto piuttosto malconcio, ma quello che più mi aveva colpito era il viso scavato e uno sguardo spento come se guardasse senza vedere realmente. Era chiaro che si trattava di una persona sofferente e, come previsto dal nostro regolamento, ho provveduto alla registrazione e le ho assegnato un posto letto.
Parlando con Jeroen abbiamo deciso di comune accordo di tentare un approccio al fine di aiutarla ad uscire da quello stato di prostrazione. L’indomani, al risveglio, abbiamo studiato un piano per coinvolgerla inventando un disperato aiuto in cucina; non sembrava particolarmente motivata a riprendere il suo cammino per cui accettò passivamente di fermarsi.
Andammo al mercato e lasciai a lei la scelta su frutta e verdura, poi continuammo il nostro giro al supermercato e in salumeria. A tutto il resto avrebbe provveduto Jeroen “la trottola” (così lo avevo soprannominato). L’obiettivo era quello di occuparla il più possibile facendola sentire utile, anzi indispensabile, allontanando così temporaneamente, i suoi pensieri angosciosi.
A mano a mano che passavano le ore, il viso di Jane, era questo il suo nome, si distendeva lentamente come se respirasse nuova linfa e riuscimmo anche a scorgere un accenno di sorriso sulle labbra. Al rientro ci siamo catapultati in cucina e devo ammettere che non mi era mai capitato (io che non amo cucinare), di dedicarmi con tale trasporto alla preparazione dei pasti.
Dopo il solito rituale dedicato a riassettare la cucina, Jane ci chiese se potesse intrattenersi con noi per parlare un po’; era evidente il suo bisogno di essere ascoltata e sentire un po’ di calore, ma la cosa più bella stava nel fatto che avevamo conquistato un po’ della sua fiducia. Venne fuori un passato costellato di maltrattamenti e violenze dentro e fuori le mura domestiche, una vita trascorsa tra affanni e sofferenze che le avevano segnato l’esistenza.
Ci siamo stretti in un abbraccio così lungo e intenso che non scorderò per tutta la vita.
Ecco, fare l’hospitalero è anche tutto questo. Ho voluto raccontarvi questa esperienza bella e toccante perché non solo esprime l’alto valore umano che riveste il ruolo di chi fa questo tipo di volontariato in Spagna, ma racchiude tutti i sani principi cui un buon cristiano dovrebbe ispirarsi.
I grandi benefici che quella vicenda mi ha donato, li vivo ogni giorno, riscoprendomi sempre di più attento ai bisogni del prossimo. Jane andò via sicuramente un po’ rinfrancata, magari più fiduciosa nel futuro. Forse non è molto, ma è un primo passo per credere e andare avanti.
La tua storia

Le storie che abbiamo voluto riportare sono una straordinaria testimonianza di umanità e altruismo di cui ogni essere umano può essere portatore. Fare l’hospitalero (e del volontariato in generale) rappresenta la più alta espressione dei valori umani, perché la dedizione agli altri senza richiedere nulla in cambio, oltre che offrire sostegno a chi ne ha bisogno, arricchisce innanzitutto chi la elargisce.
Tra le prossime storie ci sarà anche la tua? Inviaci la tua esperienza all’email info(chiocciola)ilcamminodisantiago.net: condividere con gli altri i propri racconti è importante, poiché può diventare uno sprone per coloro che non hanno ancora trovato una strada per esprimere l’energia positiva custodita dentro di sé.
